sabato 23 febbraio 2013

STORIE DI ALTRI - storia n.3



Non si sentivano più bombe da almeno cinque ore. Il tempo dilatato della guerra rendeva un dato di fatto come questo una certezza incoraggiante. La tensione dell’allerta, il freddo che gelava le ossa e il buio non aiutavano, come non aiutava il fatto che non riusciva più a sentire le dita del piede destro. Ma non si sentivano più bombe da almeno cinque ore e forse era giunto il momento di correre alla ricerca del prossimo rifugio.
L’alienazione della guerra aveva reso tutti inermi, anche solo davanti alla parola di un compagno.
Scheletri in divise lerce comparvero, al segnale di un fischio, dietro massi, alberi e barricate improvvisate. Ad un uomo, Igor notò, mancava un orecchio e la benda con cui lo avevano medicato a mala pena era distinguibile per il ristagno di sangue. Ma pensò che fosse una fortuna anche quella. Perdere un orecchio non è come perdere un braccio, o una gamba. Di orecchie ne abbiamo due e per un giovane soldato deve essere una fortuna. Aggrappato alla spalla del giovane mono orecchio si sorreggeva un uomo meno grato ai combattimenti, che invece a lui aveva deciso di portare via una mano.
Igor si guardò le scarpe per accertare di non aver perso anche lui qualcosa, distratto dal tentativo di rimanere sveglio e vigile, ma i piedi ce li aveva ancora entrambi, sebbene quello destro non stesse dando alcun segno di vita. Si accodò alla colonna disordinata di divise vaganti e si mise in marcia, non si sapeva ancora per dove e ormai neppure perché.
Ricordò l’ultima volta che aveva baciato una donna. Era bellissima mentre si nascondeva da sguardi indiscreti dietro una tenda ricamata a mano nella cucina di sua madre. Quante volte aveva sognato di addormentarsi sul seno prosperoso della giovane Odetta, e sognato di baciarle la nuca solo per spostarle i lunghi, pesanti capelli neri corvino e spogliarla così di un velo.
Tornerò presto a baciarla e le strapperò una promessa”, mentre pensava a tutte queste cose, Igor non poté non notare, sul ciglio della strada, una ragazzina accanto ad un uomo dallo sguardo torvo con una lunga barba sporca. Aveva indosso un vestito di lana lacero e aveva avvolto i piedi in stracci che teneva su con dei lacci. La bambina lo guardò come si guarderebbe un eroe, gli sorrise e Igor si accorse di quanto fossero verdi gli occhi di quella ragazzina, due pietre in un deserto in cui non cresceva nemmeno più un filo d’erba.
Trascinando il piede e combattendo contro l’istinto ad addormentarsi – non ricordava più quando aveva dormito davvero negli ultimi dieci giorni – si accodò di nuovo a quella processione di spiriti in divisa e proseguì.
Non gli sembrò poi tanto male muoversi. Sempre meglio che rimanere fermi, inchiodati dalla paura ad aspettare che il nemico intuisca la propria presenza. E mentre ciondolava e in questo modo si trascinava, un motivetto prese a suonare nella sua testa. Non riusciva proprio a ricordare dove l’avesse sentito. Non si sforzò di ricordare e fu contento, perché la musica tiene allegri e fa compagnia. Stavano andando a mettersi al sicuro, non si sentivano bombe da più di cinque ore, dunque cosa poteva esserci di meglio in quella situazione?

Dopo molte ore di marcia, quando il sole già aveva preso a scendere, come per tacito accordo, la fila di soldati logori si sparpagliò e ognuno si accampò come poté.
Igor appoggiò lo zaino ad un masso un poco sporgente su cui nitida spiccava una macchia rossa e secca, e si sdraiò. Il cielo era un tripudio di stelle e tutte sembravano disegnare una forma, che sembravano disegni di un bambino su una lavagna infinita. Ogni tanto giungeva un lamento. Ma Igor ci era abituato. Pensò potesse essere l’uomo con un orecchio solo o il suo amico senza mano.
Intanto con le stelle disegnava lui stesso immagini di sogno e mentre lo faceva pensò alla ragazzina dagli occhi cangianti.
Era ora di provare a dormire. Si voltò su un fianco. Mentre chiudeva gli occhi, un attimo prima che fosse buio, dalla fessura del suo sguardo stanco notò la ragazzina con gli stracci al posto delle scarpe e gli occhi di pietra. Era ancora lì! “Forse la sto solo immaginando. Cosa ci fa una ragazzina, adesso persino sola, di notte, qui?”. Chiuse gli occhi, ma non li tenne chiusi per molto perché quando si sentì tirare per una mano dovette aprirli e con sorpresa constatare che quella ragazzina era lì, in carne e ossa e gli stava chiedendo di alzarsi. La seguì oltre il filare di alberi che dalla campagna portava alla strada, non c’era nulla che potesse fermarlo.
Una piccola ombra scura sbarrò loro la strada. La ragazzina si scostò per lasciarlo avvicinare e si mise al suo fianco, mentre allungava la mano ossuta a stringere la sua.
Sulle prime Igor dovette faticare perché i suoi occhi mettessero a fuoco nel buio della sera, ma poi vide. Un cumulo di corpi inermi ammassati formavano una montagnetta di carne e stracci. Qualcuno aveva avuto cura di ammucchiare quei morti l’uno sull’altro, ma nessuno aveva avuto abbastanza cura per occuparsene davvero concedendo loro almeno l’abbraccio della terra. Non fece in tempo a finire questo pensiero e a spiegarsi perché la ragazzina l’avesse portato lì, quando il suo sguardo mise a fuoco, stirati sotto il peso di altre gambe e schiene e corpi, due piedi avvolti in fagotti di stracci. Non riuscì ad avere paura perché accanto a quel corpo di bambina ce n’era un altro in divisa, senza il piede destro e senza vita.
Guardò la ragazzina con gli occhi verdi che accanto a lui aspettava un cenno, le strinse più forte la mano e finalmente rispose al suo sorriso.
Per loro la guerra era finita.

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